Prato, cinesi nel distretto tessile: riciclaggio e lavoro nero

Prato, cinesi nel distretto tessile: riciclaggio e lavoro nero

Sembra non finire mai la lunga lista di accadimenti di cronaca che riguardano il distretto tessile di Prato, uno dei più importanti al mondo, e le vicissitudini della comunità cinese. Basti pensare che nella provincia di Prato i cittadini extracomunitari residenti sono poco più di 39.000, di cui oltre 25.000 cinesi. E non vi è operazione delle forze dell’ordine in cui non emergano illeciti, più o meno gravi, a carico di conduttori di aziende operanti nel comparto tessile, spesso e volentieri proprio di nazionalità cinese.

Dormitori abusivi, violazioni sui contratti di lavoro fino ad arrivare a concorrenza sleale, contraffazione, contrabbando internazionale, sfruttamento del lavoro nero aggravato da condizioni inumane, riciclaggio internazionale.

Il sistema Prato” gestito da cittadini della comunità cinese è ormai un meccanismo ben rodato ed efficiente che produce ogni anno un giro d’affari invisibile stimato in molte decine di milioni di euro su cui anche gli inquirenti e le autorità italiane poco possono fare.

In una recente intervista un ufficiale della Guardia di Finanza in servizio presso il comando provinciale, con delega alle operazioni di indagine, ha chiaramente spiegato il sistema: – i cittadini cinesi hanno progressivamente acquisito molte aziende pratesi. La manodopera impiegata è soprattutto cinese, pakistana, africana e proveniente dal Bangladesh. Sono costretti a lavorare per pochi euro al giorno, spesso privi di contratto e qualsivoglia aspetto di tutela previdenziale. Tutto ciò fa sì che tali realtà siano molto competitive sul mercato, a discapito delle aziende italiane che operano in ottemperanza delle leggi. I proventi dell’attività vengono trasportati in vario modo, spesso attraverso furgoncini, in paesi europei vicini, come ad esempio la Romania. Un furgoncino può trasportare, ben nascosti, anche diverse centinaia di migliaia di euro a viaggio. Nel paese UE, attraverso un prestanome, i liquidi vengono immessi nel canale bancario e inviati in Cina. Il tutto viene protetto da una finta partita di giro con fatture emesse appositamente, per servizi mai erogati. In questo modo vengono sottrati al fisco diverse decine di milioni di euro ogni anno. 

Sembra quasi impossibile che nell’era della digitalizzazione non si possa contrastare efficacemente questo fenomeno: – nel tempo che la banca italiana segnala una anomalia e fa scattare i controlli, da Prato hanno già movimentato molti milioni di euro, la società paravento in Romania è stata chiusa, il responsabile irreperibile. Il cittadino cinese responsabile delle operazioni in Italia, rientrato in Cina ed introvabile -.

Redazione ArcobalenoFilati

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